Prefazione a Storia dell'Occhio - Alberto Moravia (1980)




L'erotismo sembra essere una forma di conoscenza che nel momento stesso che scopre la realtà, la distrugge. In altri termini si può conoscere il reale per mezzo dell'erotismo; ma al prezzo della distruzione completa e irreparabile del reale medesimo. In questo senso l'esperienza erotica si apparenta a quella mistica: ambedue sono senza ritorni, i ponti sono bruciati, il mondo reale è perduto per sempre. Altro carattere comune all'esperienza mistica e a quella erotica è che esse hanno bisogno dell'eccesso; la misura, che è propria al conoscere scientifico, è sconosciuta tanto a l'una che all'altra. Quest'eccesso, naturalmente, porta alla morte. Ma nell'esperienza mistica sarà la morte del soggetto; in quella erotica, la morte dell'altro. Questo forse spiega il carattere apparentemente suicida dell'esperienza mistica e omicida dell'esperienza erotica. Dico «apparentemente» perché suicidio e omicidio sono nomi che il mondo dà a certi eccessi; mentre in realtà il misticismo e l'erotismo proiettano l'uomo fuori del mondo. Quanto a dire, ovviamente, che erotismo e misticismo hanno in comune la svalutazione del mondo; e che si può essere santi sia in senso religioso sia in senso erotico. Del resto è noto che le due esperienze erano collegate e indistinguibili nelle religión primitive; averle separate e contrapposte è stata opera del cristianesimo, il quale rifiuta, condanna, rimuove l'erotismo. Ma, attenzione: sia pure in senso negativo e diabolico anche nel cristianesimo, l'erotismo è un elemento indispensabile, di qualsiasi operazione conoscitiva.

Comunque, l'erotismo si rivela strumento di conoscenza soprattutto in quanto non è mai un fatto di natura o meglio soltanto di natura: esso comincia ad esistere al livello culturale. Ancora una volta, però, bisogna avvertire che il momento erotico nella cultura, se è accompagnato da consapevolezza, non può che essere distruttivo; e se è inconsapevole non è erotico. Il rapporto tra erotismo e cultura si può, d'altra parte, articolare nel modo seguente: all'origine l'erotismo è inconscio; via via che si sviluppa la cultura, con la stessa gradualità si verifica il riconoscimento e il recupero dell'erotismo. Anzi, con un po' di sforzatura, si potrebbe addirittura affermare che la cultura altro non è che la progressiva scoperta e definizione dell'erotismo originario e inconscio. La fine della cultura logicamente è completa consapevolezza e totale rinvenimento dell'erotismo. A questo punto, spiegazione equivale a distruzione e coscienza ad annientamento. In fondo, dunque, la forma di conoscenza propria dell'erotismo riguarda unicamente l'erotismo. Esso si sforza di conoscere se stesso e attraverso questo sforzo si manifesta e si esprime. Così le culture nascono dalla soppressione, ignoranza e incoscienza del fatto erotico; e si sviluppano e muoiono secondo il progresso di una scoperta che è contemporaneamente distruzione.


Abbiamo detto che l'erotismo ha in comune con l'ascesi mistica la svalutazione del mondo reale. Una prova secondaria ma significativa della verità di questa affermazione, va ravvisata nella brevità dei libri erotici. Questi libri sono il più delle volte scadenti; più raramente, hanno un valore letterario; ma belli o brutti, hanno tutti in comune il carattere specifico della brevità. Ossessionato dal proprio argomento e insieme deciso ad isolarlo e a conferirgli un carattere di totalità, lo scrittore erotico di solito esaurisce in poche decine di pagine tutte le possibili combinazioni del rapporto sessuale. Incesto, animalità, omosessualità, necrofilia, eterosessualità e via dicendo, vengono separati dai contesti sociali, psicologici, storici, morali a cui, nella realtà, sono inestricabilmente legati. In altri termini tutto ciò che non è sesso è passato sotto silenzio come se non esistesse. Il rapporto sessuale, come Attila, non lascia l'erba dove passa, fa il deserto intorno a sé e chiama questo deserto realtà. Questa operazione può essere calcolata e interessata, come nei libri cosiddetti pornografici; può, invece, essere spontanea e disinteressata come nei libri propriamente erotici; ma, in ambedue i casi, rivela il potere corrosivo dell'erotismo e la distruzione alla quale esso sottopone il tessuto culturale, lo scrittore erotico non si occupa che dell'erotismo in quanto occuparsi dell'erotismo vuol dire, appunto e prima di tutto, sopprimere tutto ciò che non è erotico. E questo non tanto perché l'erotismo se ne avvantaggia, anzi in certo modo sono talvolta più erotici certi passaggi erotici di romanzi normali in cui si parla di tutto, che gli stessi passaggi in romanzi in cui non si parla che dell'erotismo; quanto perché l'erotismo una volta assunto a tema dominante, non sa che farsene della realtà.

Avviene così che i personaggi dei libri erotici non hanno professione né parentele né rapporti sociali; o meglio tutte queste cose sono ridotte a meri involucri quasi a sottolineare il processo di svuotamento che è proprio dell'erotismo. E mentre è vero che l'erotismo ha bisogno dei valori per profanarli, non è meno vero che questa profanazione cessa di essere tale al momento stesso che avviene, a causa del carattere eccessivo dell'erotismo. Tutto, insomma, nell'erotismo, porta al delitto. Intendo il delitto come uno dei due grandi rifiuti del mondo; l'altro è il rifiuto religioso nella sua accezione estrema, voglio dire nel suo momento mistico. Erotismo e misticismo rifiutano il mondo dei valori annullandoli nell'estasi; ma l'estasi religiosa porta all'olocausto di se stessi, quella erotica, dell'altro. Si torna qui all'idea del delitto che è indivisibile dall'erotismo e che nelle antiche religioni attraverso il rito e il sacrificio perdeva il suo carattere di trasgressione, diventando a sua volta atto religioso. L'amante vuol mordere, divorare, assassinare, distruggere l'amante, in un impossibile sforzo di comunicazione e di identificazione. Nelle religioni questo cannibalismo viene ritualizzato, mediato, trasformato in rappresentazione simbolica.

«Storia dell'occhio» di Georges Bataille, oltre che un piccolo capolavoro della letteratura d'avanguardia, è un buon esempio di romanzo reso corto ed essenziale dalla vampa divorante dell'erotismo. Ma pur essendo corto nel modo dei libri chiamati pornografici, cioè corto perché ridotto a poche variazioni del solo tema del sesso, non è forse tanto un libro erotico quanto un libro nel quale l'inquietudine religiosa è trasferita in una storia di fissazione sessuale. Ciò che fa la spia al carattere religioso del libro è la curva narrativa che partendo da un'analogia a sfondo ossessivo (la rassomiglianza tra l'uovo e il testicolo e l'occhio) si carica di tensione e di significati per esplodere finalmente nella profanatoria scena conclusiva nella quale l'ossessione analogica si risolve in una specie di messa nera di tipo sadico. Abbiamo detto sadico; e in verità «Storia dell'occhio» è un libro che fa curiosamente pensare a una discendenza di Bataille dal Divino Marchese. Lo stile lucido e insieme delirante, i paesaggi teatralmente romantici e tempestosi, l'alternarsi di azioni convulse e di illuminazioni concettuali, soprattutto l'utilizzazione puntuale degli ambienti, dei personaggi e dei riti della religione, tutto in questo romanzo ricorda l'autore di «Justine». Bataille, del resto, non lo nasconde, anzi si compiace di sottolinearlo con la convencionalita settecentesca dello schema narrativo, degli sfondi turistici e mondani, della conclusione frivola e sbadata.

Ma De Sade è un ideologo razionalista e illuminista, il quale descrive e rappresenta per dimostrare, divulgare, discutere, negare; Bataille invece è un irrazionalista decadente le cui descrizioni e rappresentazioni hanno l'autosufficienza e il disinteresse che e proprio della poesia. Là dove De Sade ci presenta, in fondo, degli esempi, Bataille invece ci fornisce dei simboli. Così il senso di De Sade è chiarissimo anche se il fondo della sua ispirazione è oscuro; mentre in Bataille l'ispirazione ha tutta la chiarezza di una consumata consapevolezza culturale, ma il senso rimane ambiguo e dubbio. Che cosa ha voluto dire Bataille con la strana sconvolgente immagine dell'occhio che, inserito nel sesso di Simona, guarda tra il pelo pubico come tra le ciglia di due palpebre e, pur guardando, piange calde lagrime di orina? Quell'occhio che è stato strappato dall'orbita di un giovane prete spagnolo martirizzato e strangolato nel corso della messa nera? Quell'occhio che rassomiglia, azzurro, puro e ingenuo, all'occhio dell'amata Marcella, morta suicida alla fine di un'orgia? Basterà ricordare che l'occhio vuol dire visione, percezione, apprendimento, conoscenza, per rendersi conto che l'immagine, di purissima marca surrealista, ha un suo significato che la trascende. Vuol forse dire che l'occhio, organo della mente che vuol sapere e conoscere, trasferito dalla cavità dell'orbita a quella del sesso femminile, sta a indicare un analogo trasferimento della facoltà conoscitiva dalla mente all'istinto, dalla razionalità all'erotismo, dallo spirito al corpo? È difficile dirlo; comunque qualsiasi ipotesi è legittima. Tuttavia si deve notare che l'occhio come simbolo di conoscenza e onniveggenza è comune a tutte le religioni. Nella pianura di Katmandu, nel Nepal, terra natale del Buddha, l'enorme occhio dipinto sul pinnacolo della stupa ci guarda al di sopra dei boschi e delle coltivazioni con la stessa ossessiva fissità con la quale, nella pagina di Bataille, ci sentiamo spiati, di tra le gambe della crudele e stravagante Simona, dall'occhio del morto.

Ma sul carattere fondamentalmente religioso dell'erotismo, sarà bene lasciar parlare Bataille stesso. Nella prefazione a «Madame Edwarda», egli scrive: «Alla fine di questa riflessione patetica che, in un grido, si auto annienta, in quanto affonda nell'intolleranza di se stessa, noi ritroviamo Dio. Questo è il senso, l'enormità di questo libro insensato. Questo racconto mette in gioco nella pienezza dei suoi attributi Dio stesso; e questo Dio, pur tuttavia è una meretrice in tutto simile a tante altre. Ma ciò che il misticismo non ha potuto dire (al momento di dirlo, veniva meno, non ce la faceva), l'erotismo lo dice: Dio è nulla se non è il superamento di Dio in tutti i sensi; nel senso del comune volgare; nel senso dell'orrore e dell'impurità; infine nel senso del nulla... Non possiamo aggiungere impunemente al linguaggio la parola che sorpassa tutte le parole, la parola di Dio; nel momento stesso che lo facciamo, questa parola si sorpassa essa stessa, distrugge vertiginosamente i propri limiti. Ciò che Dio è, non retrocede davanti a nulla, e dappertutto dove è impossibile trovarlo; esso stesso è una «enormità». Chiunque ne ha il sospetto anche minimo, tace subito. Oppure, cercando l'uscita, e ben sapendo che, invece, si chiude sempre più, cerca in se stesso ciò che potendolo annientare, lo rende simile a Dio, cioè simile al nulla».